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Tecnologie ed empatia. Abbattere le barriere degli utenti senior

Quando progettiamo soluzioni per una popolazione di età avanzata — che favoriscano il mantenimento di uno stile di vita attivo — i primi temi su cui ci concentriamo sono, per dirne alcuni l’esercizio fisico, il training cognitivo, la corretta alimentazione. Questi seppur siano elementi assolutamente necessari da considerare, non sono gli unici. Con la pandemia, si rafforza l’esigenza di far fronte all’isolamento e alla solitudine, potenziando le relazioni sociali. Restano inoltre centrali il senso di indipendenza e di autostima per l’individuo.

La sfera emotiva e la motivazione in particolare, giocano un ruolo importante per la conduzione di una vita sana ed equilibrata. Nel progetto Resilien-t, già citato in altre occasioni, si è cercato di ragionare ampiamente su questo tema.

Quando si progetta per un pubblico senior, si tiene conto del contesto d’uso, degli obiettivi e delle caratteristiche dell’individuo. I progetti in ambito ICT in questo senso, come già raccontato, sono stati tanti. L’utilizzo della tecnologia è diventato un punto centrale, non solo per il monitoraggio da remoto dello stato della salute della persona, ma anche per potenziare le relazioni tra le persone e le comunità a cui essi appartengono.

Durante le sessioni di co-design Resilien-t, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare le voci dei nostri utenti finali, capirne bisogni, aspettative e propensioni. Abbiamo incontrato persone con un buon livello di digitalizzazione e con una visione entusiasta rispetto all’uso delle tecnologie, ma anche persone con un punto di vista totalmente differente.

E sono proprio queste le persone che dobbiamo ascoltare attentamente.

Esistono sicuramente barriere di vario genere, di tipo culturale, talvolta fisico e/o emotivo.

È emerso che questi utenti non si sentissero a proprio agio con la tecnologia poiché intimiditi, al punto da sentirsi incapaci e inadeguati e desistere ancor prima di provarci. In altri casi la tecnologia era percepita come un orpello, un “plus” senza un reale valore aggiunto, una chiara utilità per la persona e per la propria quotidinità.

In questo scenario si inseriscono inoltre caratteristiche fisiche dovute all’età (ridotta mobilità, limitazioni visive, deterioramenti a livello cognitivo) che possono ulteriormente aumentare il divide tra la tecnologia e la persona.

Nella progettazione rivolta a questo target, entra in gioco non solo quindi il concetto di usabilità — intesa come efficacia, efficienza e soddisfazione d’uso — della soluzione proposta, ma anche quella di user acceptance.



Esiste infatti tutta una sfera legata alle emozioni della persona che influenza enormemente la volontà di interagire e continuare ad usare in modo continuativo la tecnologica in questione.

L’obiettivo fondamentale delle persone che abbiamo incontrato in questo progetto era ed è quello di continuare a sentirsi indipendenti, nel pieno delle proprie facoltà e non rappresentare un peso per i propri familiari. Ciò influenza fortemente il percorso di autogestione della persona, soprattutto in un contesto di utenti seniors con diagnosi di MCI (vedi articolo precedente).

Occorre quindi che si crei una fiducia nei confronti della tecnologia con cui si interagisce, riuscire a percepirne l’utilità e il valore aggiunto che essa può apportare alla quotidianità. La tecnologia deve quindi offrire all’utente la percezione di essere sempre padrone delle azioni che sta svolgendo e di essere in grado di compierle. La tecnologia deve porsi ad un livello non-invasivo. Si torna a parlare di tecnologie empatiche e di warm tecnology. Tecnologie capaci di entrare in relazione con l’utente, adattandosi al contesto e alla quotidianità in cui sono inserite.

“Warm technology is that it doesn’t aim to replace our most basic human needs, such as contact with our loved ones, a feeling of belonging and the desire to feel needed. What warm technology does instead, is harness the plethora of technological advancements to meet these needs, solving an emotional and often completely invisible crisis.”

Karen Dolva CEO and co-founder of No Isolation

Con la pandemia è diventata sempre più urgente la necessità di accorciare le distanze, combattere l’isolamento e trovare nuovi modi per garantire l’aderenza alle cure anche al di fuori delle strutture sanitarie.

Occorre quindi pensare a soluzioni che possano entrare nella vita delle persone e che siano percepite come un ausilio, uno strumento per il raggiungimento dei propri scopi.

Le tecnologie devono quindi essere in grado di attingere alla nostra sfera emotiva, anticipando i nostri bisogni non solo quelli essenziali, ma anche quelli emotivi, come il bisogno di socialità o di vivere una vita indipendente e di qualità, ponendosi quindi in modo proattivo e spronando l’individuo nel continuare a coltivare i propri interessi e relazioni.

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